Il giusto margine di guadagno sul prezzo dell’appalto serve a giustificarne la corretta esecuzione (Consiglio di Stato, Sez. V, 27.11.2019, n. 8110)
Gli appalti pubblici devono essere affidati ad un prezzo che consenta un margine di guadagno adeguato per le imprese, poiché gli appalti in perdita porterebbero inevitabilmente ad una negligente esecuzione da parte degli affidatari e ad un probabile contenzioso; laddove i costi non considerati o non giustificati siano invece tali da non poter essere coperti neppure mediante il valore economico dell’utile stimato, è evidente che l’offerta diventa non remunerativa e, pertanto, non sostenibile.
Una centrale di committenza indiceva una procedura aperta per la gestione del servizio di ristorazione scolastica e sociale per una durata pari a tre anni, prevedendo nel capitolato un numero indicativo dei pasti da erogare ed un numero medio delle settimane di servizio.
La società classificatasi seconda in graduatoria impugnava Il provvedimento di aggiudicazione contestando la mancata esclusione dell’aggiudicataria e l’esito del sub-procedimento di verifica dell’anomalia.
In particolare, la ricorrente si doleva del fatto che l’aggiudicataria avesse proposto un numero di settimane di gestione del servizio inferiore a quelle previste dalla disciplina di gara (31 invece che 35 annue) nonché dell’insostenibilità dell’offerta ove rapportata al numero effettivo di settimane previste.
Il TAR accoglieva la censura annullando l’aggiudicazione nella parte in cui non era stata disposta l’esclusione dell’offerta risultata aggiudicataria, ritenendo inderogabili le prescrizioni della disciplina di gara relative all’impiego di personale per il numero di settimane previste.
Il Consiglio di Stato – accogliendo l’appello dell’aggiudicataria – ha invece riformato la sentenza ritenendo che il predetto numero di settimane sia stato indicato dalla Stazione appaltante (in occasione di un chiarimento ad un quesito) come dato medio di calcolo per il valore dell’appalto. Dunque, l’organizzazione delle risorse non andava rapportata a tale numero, bensì all’effettiva intera durata del servizio (comprensivo di quelli a domicilio, della refezione della scuola d’infanzia, nonché in base al numero pasti da erogare, seppur presuntivo).
Il Supremo Consesso, in particolare, ha ribadito che le cause di esclusione dalla gara sono tassative e di stretta interpretazione e che vanno escluse solo le offerte che sono carenti di elementi essenziali sì da ingenerare una situazione di incertezza assoluta sul loro contenuto ovvero in presenza di clausole che tipizzino una siffatta situazione di assoluta incertezza.
Al contempo, peraltro, il Consiglio di Stato ha accolto il motivo di appello incidentale proposto dalla seconda graduata relativo alla mancata prova dei costi di formazione del personale e delle derrate dell’aggiudicataria, ritenendo che quest’ultima si fosse limitata a riferire genericamente dati globali aziendali relativi ad una particolare scontistica riservata dai fornitori per acquisti all’ingrosso e che la stazione appaltante avesse accettato tali giustificazioni senza effettuare alcun ulteriore approfondimento.
Nell’accogliere tale censura, quindi, il Supremo Consesso ha ribadito il consolidato principio giurisprudenziale secondo il quale gli appalti pubblici devono essere affidati ad un prezzo che consenta un margine di guadagno adeguato per le imprese, poiché gli appalti in perdita porterebbero inevitabilmente gli affidatari ad una negligente esecuzione e ad un probabile contenzioso. Laddove i costi non considerati o non giustificati siano invece tali da non poter essere coperti neppure mediante il valore economico dell’utile stimato, è evidente che l’offerta diventa non remunerativa e, pertanto, non sostenibile.
Scarica la sentenza del Consiglio di Stato n. 8110/2019