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Il collaudo delle opere pubbliche

I – Nozioni generali dell’istituto

Come noto, gli appalti pubblici possono essere suddivisi, da un punto di vista procedimentale, in due fasi distinte.

La prima fase, quella di gara, prende avvio con l’indizione della gara pubblica e si conclude con l’aggiudicazione definitiva dell’appalto, con cui viene individuato il soggetto cui affidare la realizzazione della commessa pubblica. Tale fase, in cui l’Amministrazione svolge un ruolo centrale, è regolata da norme pubblicistiche, in primis il Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 50/2016): le controversie che insorgono in relazione a detto segmento procedimentale, quindi, sono demandate alla cognizione del Giudice amministrativo (Tribunali Amministrativi Regionali e Consiglio di Stato).

Dopo la conclusione di tale fase – a seguito dell’aggiudicazione definitiva della commessa pubblica – si passa dunque alla seconda fase, quella dell’esecuzione dell’opera pubblica, regolata da norme di diritto privato: le relative controversie, quindi, sono demandate alla cognizione del Giudice ordinario.

La fase esecutiva, in particolare, prende avvio con la stipula del contratto d’appalto tra la Pubblica Amministrazione e l’aggiudicatario e si conclude con il collaudo tecnico-amministrativo dell’opera, volto – secondo la relativa definizione normativa[1] – a “…verificare e certificare che l’opera o il lavoro siano stati eseguiti a regola d’arte, secondo il progetto approvato e le relative prescrizioni tecniche, nonché le eventuali perizie di variante, in conformità del contratto e degli eventuali atti di sottomissione o aggiuntivi debitamente approvati…”.

La finalità del collaudo delle opere pubbliche – quale onere obbligatorio per legge – è quindi quella di consentire la verifica della conformità dell’opera realizzata ai progetti ed ai contratti, attestando la piena regolarità dell’opera pubblica a livello tecnico, economico e funzionale.

Tale sub-procedimento, secondo le disposizioni recate dal Codice dei contratti pubblici, vede la partecipazione di numerosi soggetti, tra i quali il Responsabile del procedimento (RUP), il direttore dei lavori o il direttore dell’esecuzione ed il collaudatore[2].

Più nel dettaglio, occorre precisare che il ruolo di collaudatore – in considerazione della delicatezza delle mansioni ad esso demandate – può essere affidato esclusivamente a soggetti che siano dipendenti di ruolo della Pubblica Amministrazione (stazione appaltante o altre amministrazioni) purché iscritti nell’apposito albo nazionale o regionale ed in possesso di alcuni specifici requisiti, ovvero una “qualificazione rapportata alla tipologia e caratteristica del contratto” nonché adeguati “requisiti di moralità, competenza e professionalità[3].

II – I tratti fondamentali dell’istituto nel Codice dei contratti pubblici

Gli aspetti principali sul collaudo delle opere pubbliche sono disciplinati dall’art. 102 del Codice dei contratti pubblici – rubricato appunto “Collaudo e verifica di conformità” – che scandisce i segmenti procedurali delle operazioni di collaudo[4].

In particolare:

– il comma 1 individua il Responsabile unico del procedimento (RUP) ed il Direttore dei lavori (o dell’esecuzione del contratto) quali addetti alla verifica sul corretto svolgimento delle prestazioni contrattuali durante l’esecuzione dei lavori o delle attività individuate all’esito della procedura di gara;

– il comma 2 distingue tra il collaudo in senso stretto – riferito ai lavori pubblici – e la verifica di conformità, applicabile in caso di servizi e forniture, specificando che entrambi gli istituti sono finalizzati ad attestare la rispondenza degli elementi qualitativi (tecnici ed economici) delle opere o delle attività eseguite dall’aggiudicatario rispetto agli obblighi dedotti nel contratto d’appalto;

– il comma 3 precisa che il collaudo finale – consistente nello svolgimento di adeguate attività di controllo – viene attestata tramite un apposito certificato, redatto a cura del direttore dei lavori[5], che deve essere rilasciato entro sei mesi dalla data di ultimazione dei lavori. Il medesimo comma, tuttavia, specifica che in alcune ipotesi il predetto termine semestrale può essere prorogato per un anno[6].

In sede di verifica conclusiva da parte dell’organo preposto al collaudo vi sono, poi, quattro possibili esiti della procedura previsti a livello di normativa regolamentare, che variano a seconda del fatto che vengano o meno rilevati dei difetti o delle mancanze nell’esecuzione dei lavori[7].

In particolare, qualora vengano riscontrati dei difetti che rendono l’opera assolutamente inidonea allo svolgimento delle sue funzioni e non rispondente alle caratteristiche contrattualmente previste, l’organo preposto al collaudo può rifiutare l’emissione del certificato di collaudo, informando di tale circostanza la stazione appaltante.

Qualora, invece, siano riscontrati dei vizi o dei difetti di non rilevante entità, facilmente superabili tramite specifici interventi, il collaudatore potrà individuare le lavorazioni necessarie a superare tal difformità e concedere un termine all’aggiudicatario per realizzare i relativi interventi.

La Pubblica Amministrazione rilascerà quindi il certificato di collaudo soltanto a seguito della conferma, da parte del RUP, della corretta esecuzione e del completamento dei citati lavori integrativi.

Nell’ipotesi in cui vengano riscontrati vizi lievi – non idonei ad inficiare la stabilità dell’opera e la funzionalità del servizio a cui la stessa è adibita – invece, il collaudatore potrà emettere direttamente il certificato di collaudo, premurandosi tuttavia di quantificare il valore economico dei lavori necessari a superare le pur lievi difformità riscontrate, in modo che tali spese possano essere addebitate all’esecutore.

Infine, qualora non siano riscontrati vizi e l’opera risulti del tutto conforme alle specifiche contrattualmente previste, la Pubblica Amministrazione provvederà all’immediato rilascio dell’atto conclusivo della procedura, ovvero il già citato certificato di collaudo.

Più nel dettaglio, in tale ipotesi – secondo quanto previsto dalla normativa di settore[8] – l’esecutore dovrà accettare l’intervenuto collaudo mediante la firma del certificato da apporsi entro venti giorni dalla sua emissione, ferma restando la sua facoltà di inserire eventuali richieste relative ai lavori collaudati.

A sua volta, l’organo di collaudo dovrà riferire al RUP la sussistenza di specifiche circostanze che richiedono il successivo svolgimento di eventuali verifiche integrative a distanza di tempo dall’intervenuto collaudo.

III – Il certificato di collaudo

Come detto – sotto il profilo strettamente procedurale – la procedura di collaudo si conclude con l’emissione da parte dell’Amministrazione del certificato di collaudo, quale atto con cui viene attestata la rispondenza dell’opera alle caratteristiche contrattualmente pattuite.

Occorre precisare, tuttavia, che il certificato di collaudo è un atto provvisorio che diventa definitivo soltanto dopo il decorso di due anni dal suo rilascio, senza che possa assumere a tal fine rilievo il pagamento del saldo per il fine lavori in favore dell’impresa.

In particolare, una volta trascorso tale periodo di tempo – anche in mancanza di un atto formale di approvazione – il medesimo certificato, qualora non siano intervenuti atti di contestazione da parte della P.A., diviene comunque definitivo entro ulteriori due mesi, attraverso una sorta di accettazione implicita dei lavori da parte della Pubblica Amministrazione.

In altri termini – anche in relazione al collaudo opera il meccanismo giuridico del silenzio assenso – atteso che l’inerzia dell’Amministrazione, protratta per due anni e due mesi dal rilascio del certificato di collaudo provvisorio, comporta una tacita approvazione dei lavori o delle attività svolte dall’aggiudicatario[9].

Ciò, ovviamente, pur sempre a patto che in detto lasso di tempo la Pubblica Amministrazione non abbia avanzato alcuna contestazione in merito alla rispondenza degli elementi qualitativi (tecnici ed economici) delle opere o delle attività eseguite dall’aggiudicatario rispetto a quanto previsto nel contratto d’appalto.

IV – Collaudo provvisorio e definitivo: le differenze a livello di tutela giudiziale

La distinzione tra collaudo provvisorio e definitivo – a cui si è in precedenza accennato – assume un particolare rilievo in relazione alla disciplina applicabile nel caso di vizi o difformità delle opere realizzate dall’aggiudicatario.

In particolare, quanto al collaudo provvisorio, il Codice dei contratti pubblici dispone all’art. 102, comma 5, che – fatte salve le disposizioni di cui all’articolo 1669 del codice civile, di cui si dirà a breve – l’appaltatore risponde per la difformità ed i vizi dell’opera, ancorché riconoscibili, “…purché denunciati dalla stazione appaltante prima che il certificato di collaudo assuma carattere definitivo…”.

Pertanto, in presenza di vizi o di difformità dell’opera rispetto al progetto o al contratto, la Stazione appaltante – fintanto che il collaudo è provvisorio – mantiene inalterata la propria facoltà di far valere l’inadempimento della ditta  sia in via amministrativa sia in via giudiziale.

Quando il collaudo diviene definitivo – a seguito del decorso dei termini di cui si è in precedenza detto – trova invece applicazione l’art. 1669 c.c., esplicitamente richiamato dal Codice dei contratti pubblici, in base al quale la Pubblica Amministrazione può comunque agire in via giudiziaria nei confronti dell’appaltatore qualora “…durante dieci anni dal compimento dell’opera, dovessero verificarsi gravi danni o difetti, a condizione che la stazione appaltante denunci i gravi vizi entro un anno dalla loro scoperta…[10].

Pertanto – diversamente da quanto previsto in caso di collaudo provvisorio – nel caso di collaudo definitivo persiste per l’impresa un obbligo giuridico di rispondere nei confronti del committente per i vizi e le difformità dell’opera, purché queste ultime siano di rilevante gravità, a patto che la sussistenza di tali vizi venga denunciata dalla Stazione appaltante entro il termine di un anno dalla relativa scoperta[11].

Occorre precisare, tuttavia, che la su citata disposizione – non a caso rubricata “Rovina e difetti di cose immobili” – può trovare applicazione solo quando l’opera pubblica consista in un edificio o in un immobile con natura durevole nel tempo e qualora emerga un vizio del suolo, un difetto di costruzione o il pericolo di rovina del bene[12].

In sintesi, a seguito del rilascio del collaudo provvisorio, l’aggiudicatario – qualora voglia ottenere il certificato di collaudo definitivo – è tenuto ad eliminare i vizi e le difformità dell’opera rilevate dalla Stazione appaltante, qualora queste ultime vengano tempestivamente denunciate dalla P.A..

In particolare, al RUP spetterà il compito di comunicare all’aggiudicatario l’esistenza di tali problematiche, esplicitando le modalità con cui porvi rimedio. Nel caso in cui l’impresa si opponga a tale richiesta, il RUP potrà affidare i relativi lavori ad un’altra ditta, con spese a carico dell’aggiudicataria, ferma restando la possibilità di richiedere il risarcimento dei danni eventualmente patiti dalla Stazione appaltante.

Invece, una volta che il collaudo diviene definitivo – in via formale o per silentium – rimane comunque ferma la facoltà della P.A. di agire in via giudiziaria nei confronti dell’aggiudicatario nell’ipotesi di sopraggiunti vizi, difetti o difformità, purché di rilevante entità, entro un decennio dalla realizzazione dell’opera, a condizione che i medesimi vizi vengano denunciati entro un anno dalla loro conoscenza.

V – Conclusioni

Le considerazioni che precedono evidenziano che la fase del collaudo assume un particolare rilievo nell’ambito degli appalti pubblici, trattandosi del segmento procedurale nell’ambito del quale il Committente pubblico verifica la completa, corretta e diligente esecuzione, da parte del soggetto aggiudicatario, delle opere e delle attività contrattualmente previste.

Il collaudo costituisce, dunque, il momento finale in cui si esplica il potere di controllo e verifica demandato alla Pubblica Amministrazione: la normativa in precedenza richiamata, quindi, è volta a trovare un punto di equilibrio fra la necessità di tutelare i pubblici interessi – primi fra tutti quello alla corretta realizzazione dell’opera ed al buon utilizzo delle finanze pubbliche – e l’esigenza di garantire i privati, contenendo i tempi di tali verifiche.

Tale punto di equilibrio, in particolare, è stato trovato dal legislatore tramite il ricorso al meccanismo del silenzio-assenso, che garantisce – dopo il decorso di un lasso di tempo tutt’altro che breve (due anni e due mesi dal rilascio del certificato di collaudo provvisorio) – che il medesimo certificato assuma in ogni caso carattere di definitività.

In questo articolato contesto, quindi, non stupisce che questa fase procedurale comporti in numerose occasioni la nascita di controversie tra la Stazione appaltante e le ditte incaricate della realizzazione delle opere pubbliche, con evidenti e facilmente immaginabili ricadute sulla fruibilità ed efficienza delle opere pubbliche realizzate tramite le procedure d’appalto.

[1] Cfr. art. 215, comma 1 del d.P.R. 207/2010, allo stato vigente ai sensi dell’art. 216, comma 16, D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50.

[2] Ciò emerge, in particolare, dal disposto dell’art. 101, c. 1, D.lgs. 50/16, in base al quale “L’ esecuzione dei contratti aventi ad oggetto lavori, servizi, forniture, è diretta dal responsabile unico del procedimento, che controlla i livelli di qualità delle prestazioni … nella fase dell’esecuzione, si avvale del direttore dell’esecuzione del contratto o del direttore dei lavori, del coordinatore in materia di salute e di sicurezza … nonché del collaudatore …”

[3] Cfr. art. 102, comma 6, D.Lgs. 50/2016.

[4] Si tratta, peraltro, di una disciplina in buona parte mutuata dal previgente Codice De Lise (D.Lgs. 163/2006) e che riprende, nella sostanza, quanto previsto dagli abrogati artt. da 120 a 141 del medesimo Codice.

[5] Nei termini di cui all’art. 12 del Decreto del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti del 07.03.2018, n. 49, recante il Regolamento concernente “Approvazione delle linee guida sulle modalità di svolgimento delle funzioni del direttore dei lavori e del direttore dell’esecuzione”.

[6] Ciò può avvenire nel caso di lavori particolarmente complessi, per i quali si rende più difficoltoso lo svolgimento del collaudo. Tali ipotesi dovrebbero essere regolate da uno specifico decreto del MIT ch tuttavia, ad oggi, non è stato ancora adottato.

[7] Si veda, al riguardo, quanto disposto dall’art. 227, d.P.R. n. 207 del 2010, rubricato “Difetti e mancanze nell’esecuzione”.

[8] Cfr. artt. 233 e ss. del d.P.R. n. 207 del 2010.

[9] Diversamente, nel caso di richiesta di ricorso al subappalto da parte dell’aggiudicatario, il silenzio-assenso della P.A.si configura qualora decorrano 30 giorni senza che quest’ultima comunichi la determinazione in risposta alla domanda di autorizzazione.

[10] Tra i gravi difetti ivi richiamati rientrano, in via meramente esemplificativa, le persistenti infiltrazioni di acqua per rottura di tubature o per cattiva realizzazione del tetto.

[11] Al riguardo occorre, tuttavia, sottolineare che l’obbligo di denuncia ricorre esclusivamente qualora il vizio sia conosciuto o conoscibile ricorrendo all’ordinaria diligenza, ovvero quando il difetto sia icto oculi rilevabile o, comunque, rilevabile tramite previo accertamento tecnico.

[12] Al contrario sono escluse tutte le riparazioni o modificazioni su costruzioni già esistenti.