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La correzione dell’offerta può ritenersi ammissibile soltanto quando sia fornita una prova certa che detta modifica è volta ad emendare un errore materiale (Consiglio di Stato, Sez. III, 20 marzo 2020, n. 1998)

La rettifica di eventuali errori presenti nell’offerta è ammissibile soltanto quando è finalizzata ad emendare degli errori materiali o dei meri refusi, mentre non può essere consentita qualora sia volta a manipolare o “aggiustare” l’offerta, atteso che ciò comporterebbe una violazione della par condicio tra i partecipanti alla procedura.

Un’Azienda sanitaria del Lazio indiceva una procedura aperta per l’affidamento del servizio di attività logistiche per evadere le richieste di approvvigionamento da parte dei reparti ospedalieri e di altre Asl, alla quale partecipavano due soli operatori: il gestore uscente del servizio e la società risultata poi aggiudicataria con un punteggio superiore.

Il gestore uscente impugnava l’aggiudicazione dinanzi al TAR competente rilevando che l’aggiudicataria non aveva correttamente individuato l’immobile ove svolgere la prestazione oggetto della commessa, atteso che aveva rettificato il numero civico di detto immobile dopo la presentazione dell’offerta tramite una semplice dichiarazione priva di data certa.

Il giudice di primo grado rigettava il ricorso; avverso tale pronuncia il ricorrente proponeva appello dinanzi al Consiglio di Stato.

In tale sede il Consiglio di Stato – riformando la decisione di prime cure – ha  colto l’occasione per ribadire alcuni importanti principi generali in tema di correzione delle offerte nel corso della procedura.

In particolare, il Supremo Consesso ha innanzitutto ribadito che – in base al principio di auto responsabilità desumibile dall’art. 1176 c.c. – grava sull’offerente l’obbligo di presentare una offerta certa, seria, completa e immodificabile, con la conseguenza che la medesima offerta, in termini generali, non può essere oggetto di modifiche successive rispetto alla scadenza del termine per la sua presentazione.

Ne discende, dunque, che l’offerta può essere corretta dopo la scadenza di tale termine solo in casi eccezionali a fronte di un asserito errore materiale; a tal fine, tuttavia, è necessario che vi sia la prova certa che si tratti effettivamente di un refuso, dovendosi viceversa escludere la possibilità che la correzione dell’offerta si risolva in uno stratagemma volto a manipolare o “aggiustare” l’offerta, poiché ciò costituirebbe una palese violazione del principio della par condicio tra i concorrenti.

Ribaditi tali principi di carattere generale, con riferimento alla fattispecie sottoposta alla sua attenzione il Consiglio di Stato ha poi evidenziato che la rettifica operata dall’aggiudicatario non poteva ritenersi una mera correzione di un errore materiale, poiché non vi era alcuna certezza che il concorrente avesse semplicemente corretto il numero civico dell’immobile indicato nell’offerta, essendo viceversa plausibile che tramite detta correzione fosse stato individuato un immobile differente da quello inizialmente indicato.

Sulla base di tali considerazioni, quindi, il Supremo Consesso ha rilevato che la Commissione di gara non aveva adeguatamente verificato l’attendibilità dell’offerta dell’aggiudicataria, con la conseguenza che la medesima offerta – non indicando in maniera univoca l’immobile ove svolgere le prestazioni oggetto della commessa – andava esclusa dalla procedura.

Scarica la sentenza del Consiglio di Stato n. 1998/2020.