Limiti e modalità di applicazione della cosiddetta “clausola sociale” (Consiglio di Stato, Sezione V, 4 maggio 2020, n. 2796)
La previsione nel bando della c.d. “clausola sociale” non esclude né la possibilità, per il soggetto subentrante, di utilizzare una minor componente di manodopera rispetto al gestore uscente né la possibilità di applicare ai lavoratori riassorbiti tramite il ricorso alla medesima clausola i fattori di riduzione del costo del lavoro già applicati al personale alle dipendenze della subentrante.
Una centrale di committenza indiceva una procedura pubblica per l’affidamento del servizio a ridotto impatto ambientale di refezione per le scuole e per i dipendenti di alcuni enti locali.
All’esito della procedura di gara l’offerta della società classificatasi prima in graduatoria – essendo risultata anormalmente bassa – veniva sottoposta alla verifica di anomalia dell’offerta.
La Stazione appaltante, ritenendo esaustivi i giustificativi forniti da tale società, disponeva poi l’aggiudicazione definitiva del servizio nei suoi confronti.
La seconda classificata impugnava l’aggiudicazione innanzi al TAR, deducendo l’inadeguatezza della procedura di verifica dell’anomalia svolta dalla Stazione appaltante ed evidenziando – tra l’altro – che l’aggiudicataria aveva sottostimato il costo del personale e sovrastimato la presenza di fattori di riduzione del costo del lavoro dei dipendenti da riassorbire ai sensi della cosiddetta “clausola sociale”, atteso che i medesimi fattori valevoli per il personale dell’offerente non avrebbero potuto trovare applicazione anche nei confronti del personale da assumere in ossequio alla citata clausola.
Il ricorso veniva respinto dal Giudice adito e la seconda classificata procedeva, quindi, a proporre appello avverso la relativa sentenza.
In quella sede il Consiglio di Stato rigettava l’appello proposto ribadiva alcuni importanti principi in materia di applicazione della cosiddetta “clausola sociale”.
Come noto la cosiddetta “clausola sociale” – che deve essere inserita nella documentazione di gara ai sensi dell’art. 50 del D.Lgs. n. 50/2016 – è una clausola che prevede l’obbligo per il soggetto subentrante in una commessa pubblica di riassumere lavoratori che svolgevano il servizio oggetto dell’appalto alle dipendenze del gestore uscente.
Lo scopo di tale clausola – come d’altronde previsto dallo stesso art. 50 del Codice – è quello di garantire la continuità e la stabilità dell’impiego del personale impiegato nella commessa pubblica.
La presenza di tale clausola, dunque, assume senza dubbio rilievo ai fini della verifica dell’anomalia dell’offerta in quanto gli operatori economici concorrenti sono obbligati a tenere conto, nel formulare la propria offerta, del trattamento salariale e contrattuale già riconosciuto ai lavoratori da riassorbire.
Con la sentenza in commento, tuttavia, il Consiglio di Stato ha precisato che tale clausola deve essere interpretata in senso conforme ai principi di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza, evitando di attribuirle un effetto automaticamente e rigidamente escludente, atteso che il condivisibile obiettivo di favorire la continuità e la stabilità occupazionale dei lavoratori non può operare a detrimento delle proporzionate esigenze organizzative dell’impresa subentrante.
Ne consegue – secondo il Supremo consesso – che la presenza della “clausola sociale” non esclude la possibilità per il concorrente di formulare un’offerta che preveda l’utilizzo di una minore componente di lavoro rispetto al precedente gestore, ottenendo in tal modo un’economia di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento.
Inoltre, la previsione di detta clausola – interpretata in ossequio ai su richiamati principi costituzionali e eurounitari – non esclude neanche la possibilità di applicare al personale da riassorbire i medesimi fattori di riduzione del costo del lavoro applicabili al personale già alle dipendenze del subentrante, inclusi quelli relativi ai tassi di assenteismo reali per “malattia, infortunio e maternità” nonché per “permessi e assemblee”.
Sulla base di tale iter, dunque, il Consiglio di Stato ha ritenuto legittima la valutazione di congruità dell’offerta operata dalla stazione appaltante, atteso che l’offerta dell’aggiudicataria era stata formulata in aderenza alla cosiddetta “clausola sociale”, interpretata nei termini anzidetti.
Scarica la sentenza del Consiglio di Stato n. 2796/2020.